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      Il Sacco di Molfetta, fra guerra civile, franco-ispanica e di classe

      Veduta della Citta di Molfetta. G. B. Pacichelli Napoli 1703

      All’epoca dei fatti Molfetta era un piccolo borgo di circa 5.000 abitanti, ma possedeva un’importanza particolare: per oltre tre secoli, aveva goduto di un privilegio raro, quello di essere una città “demaniale”. Questo significava che Molfetta aveva il diritto di autogestirsi, evitando il controllo dei feudatari e rispondendo esclusivamente al potere centrale del sovrano. Durante il suo regno, Costanza d’Altavilla, l’ultima sovrana normanna e madre di Federico II, concesse a Molfetta questo privilegio, che rappresentava un simbolo di autonomia per i suoi cittadini.

      L’Università di Molfetta, che corrisponde al comune, era governata da un Consiglio composto da rappresentanti sia dei nobili che dei popolani, con il numero di membri variato nel corso dei secoli, talvolta con tensioni significative tra le due fazioni. Agli inizi del 1519, la Signoria di Molfetta e il Regno di Napoli passarono sotto il controllo dell’imperatore Carlo V, che ereditò il territorio dalla madre, Giovanna di Castiglia. Secondo la consuetudine, un ambasciatore veniva scelto per omaggiare il nuovo sovrano, ma la scelta ricadde su Erricolo Passari, nominato dai nobili senza consultare le classi popolari. Al suo ritorno da Madrid, Passari fu assassinato da alcuni cittadini offesi, un atto che scatenò un profondo scontro tra nobili e popolani. Marinelli, un cronista dell’epoca, sottolinea come l’odio tra le due fazioni fosse così intenso che “reputavano indegno di vita chi non era popolare”.

      Questa escalation di violenza continuò a crescere, portando a episodi di aggressione da entrambe le parti. Nel 1522, Carlo V vendette Molfetta a don Ferrante di Capua, duca di Termoli, per far fronte alle spese delle guerre. I nobili, contrari a questa cessione, si dichiararono pronti a pagare un riscatto per riottenere l’autonomia della città, mentre i popolani, al contrario, accolsero il nuovo feudatario con entusiasmo. Marinelli descrive il ricevimento del Duca, che avvenne con tutti gli onori e le cerimonie tipiche di un’entrata trionfale.

      Nel 1528, con l’esplodere della guerra tra Carlo V e Francesco I di Francia, la popolazione si spaccò nuovamente, schierandosi alternativamente con uno o l’altro dei contendenti. Un influente cittadino, Antonio Bove, contribuì a seminare discordia tra la popolazione, accusando i nobili di tramare contro gli interessi del popolo. Marinelli racconta che Bove non tollerava la superiorità dei nobili e avvisò la Duchessa di Termoli di una presunta congiura. Questo portò a un’escalation di violenza, culminando in aggressioni dirette contro i nobili.

      Quando i nobili furono accusati di tradimento e uno di loro fu condannato a morte, la tensione esplose definitivamente. I nobili, guidati da Diomede Lepore, intrapresero una spedizione punitiva contro i popolani, instillando terrore e confusione nella città. La popolazione, sentendosi minacciata, tentò di ribellarsi, ma le cose si complicarono ulteriormente quando i nobili fuggirono a Barletta, cercando rifugio presso il principe Caracciolo, alleato dei francesi. Con l’assenza dei nobili, i popolani iniziarono a saccheggiare le loro case, convinti di aver ottenuto una vittoria definitiva.

      Tuttavia, la situazione si aggravò ulteriormente quando i nobili pianificarono la riconquista di Molfetta, istigati dalla notizia delle razzie. Il principe Caracciolo, spinto dalle pressioni dei nobili e dalla volontà di ripristinare il controllo sulla città, decise di attaccare. Così, il 18 luglio del 1529, l’ordine di sacco fu dato, segnando l’inizio di uno degli episodi più tragici della storia di Molfetta. Una vera e propria guerra civili con elementi di conflitto di classe ante litteram.

       

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