
Cesare Rao nacque ad Alessano in provincia di Lecce intorno al 1532. Abbandonò la sua terra natale a 18 anni, spinto dalla curiosità e dal desiderio di apprendere cose nuove e magnifiche del mondo. Giunse prima a Napoli e poi nel 1553 a Pavia, dove strinse fraterna amicizia con Cristoforo Rovelli e con Girolamo Rainoldo. Tornò un periodo ad Alessano, ma presto riprese il cammino verso altre mete e destini.
Giunto a Napoli, Rao sembra aver affrontato diverse avversità, lamentando la sua costante miseria e una sorte avversa. Nonostante non si conoscano i dettagli di queste difficoltà, è chiaro che la sua salute fosse compromessa, con riferimenti a un “stomaco malsano” e una “complessione debole”.
La sua permanenza a Napoli fu di breve durata, a causa delle disgrazie che lo colpirono, e successivamente si trasferì a Pavia, attirato dall’istruzione di un certo Portio, che insegnava filosofia aristotelica.
Il carattere di Cesare Rao, pare fosse taciturno e meditativo. La figura di Valocerca (pseudonimo che usava per mascherare alcune sue sottili invettive) veniva rappresentata quasi come un eremita della filosofia, che alla folla e ai salotti preferisse la compagnia del silenzio.
Nota era la sua avversione per i detrattori e per coloro che lo ostacolavano nel sapere. La sua saggezza è ulteriormente sottolineata dalla pazienza e dalla volontà di studiare non con il fine del guadagno economico, ma per il puro desiderio di conoscenza.
Una sua massima, a tal proposito, recita: “non t’affaticare, scarafaggio, perchè c’è dello sterco per ogni uomo”, appare come una riflessione ironica sulla natura umana e sulle sue miserie.
Tra le opere più significative di Cesare Rao, figurano “Le argute e facete lettere” e “La rustica gentilezza“.
Nel 1575, completò il “De eloquentiae laudibus“, dedicato a Scipione de’ Monti, mentre nel 1581 scrisse “Meteororum“, pubblicato nel 1582 e dimostrando competenze in filosofia naturale e astrologia.
Rispetto a “Le Argute et facete lettere“, questa raccolta di epistole fittizie si distingue per la sua forma irregolare e dinamica, includendo capricci, satire, invettive e riflessioni ironiche sulle debolezze umane. Rao utilizza la scrittura per criticare i vizi e le immoralità della sua epoca, ricorrendo a un linguaggio vivace e a una struttura retorica sofisticata.
Le lettere di Rao si caratterizzano per l’uso di accumulazioni, ossimori, anafore e giochi di parole, creando effetti comici e paradossali. Queste opere riflettono una profonda conoscenza di modelli letterari antichi e moderni, attingendo a figure come Platone, Aristotele, Doni e Aretino, con un mix di citazioni e riferimenti culturali.
Il testo prosegue con una cronologia della vita di Rao, menzionando la sua permanenza a Pavia nel 1573 e il legame con il marchese Scipione de’ Monti.
Infine, il decennio successivo della sua vita è avvolto nell’ombra. Si sa che visse fino alla morte, avvenuta probabilmente intorno al 1587, continuando a produrre opere satiriche e colte nella sua amata Alessano.
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